Maggio 6, 2020

FABRIZIO DE ANDRÈ: LE STAGIONI COME METAFORA DELL’AMORE

Fabrizio De André è stato uno dei più grandi cantautori della storia italiana, tanto che alcuni dei suoi testi furono considerati delle vere e proprie poesie ed inclusi nei libri scolastici fin dagli anni ‘70.

Esponente della scuola genovese, contribuì a rinnovare la musica italiana, focalizzandosi spesso su tematiche politico-sociali e facendosi portavoce di ideologie anarchiche e pacifiste.

Uno degli aspetti della sua personalità artistica sui quali si è forse concentrata meno la critica risulta essere quello romantico, eppure nei testi di De André la tematica amorosa è sempre presente, anche quando si parla semplicemente di amore per gli emarginati ed i reclusi.

Volendoci concentrare più specificamente sull’eros, è semplice tracciare le linee generali della sua concezione amorosa attraverso l’analisi di alcuni testi, quali: La canzone dell’amore perduto, Caro amore, Amore che vieni, amore che vai. Ricorrente è l’utilizzo di metafore che rimandano alla primavera o allo sbocciare dei fiori per indicare il periodo dell’innamoramento (Ricordi? Sbocciavan le viole con le nostre parole); ma proprio come ogni anno è irrimediabilmente soggetto al continuo susseguirsi delle stagioni, sembrerebbe esserlo anche l’amore, e alla primavera è quindi fatto seguire l’arrivo dell’autunno che porta via la freschezza di quei fiori prima sbocciati e con essi anche la sincerità del sentimento che rappresentavano (ma come fan presto amore ad appassir le rose, così per noi; i fiori dell’altr’anno, caro amore, sono sfioriti e mai più rifioriranno).

Inutile è quindi rifugiarsi nei “sempre” e nell’ipocrisia dei “mai” per l’artista, che con un coraggio disarmante si accinge a guardare con occhio estremamente critico la realtà senza idealizzarla e prendendo consapevolezza del fatto che tu che con gli occhi di un altro colore mi dici le stesse parole d’amore, fra un mese fra un anno scordate le avrai, amore che vieni da me fuggirai.

Annalisa Di lorenzo

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